ALBERI DI NATALE, MERAVIGLIOSI AMATI ABETI.

IMG_4709L’otto dicembre è, qui da noi, il giorno in cui si cominciano a preparare gli addobbi natalizi, si spolverano gli alberi di Natale e si tirano fuori scatole di balocchi e nastri luccicanti, si comincia insomma ad entrare nell’atmosfera delle prossime festività. Quest’ultimo Natale per la nostra famiglia è stato particolare, perché dopo tanto tempo siamo tornati ad addobbare degli alberi veri, degli abeti, o meglio delle punte di abete, che fino al giorno prima svettavano in cielo a più di trenta metri da terra.

Ma andiamo con ordine. Vi ricordate gli abeti dell’infanzia? Ecco, mi sono attrezzato, e finalmente lo scorso 7 dicembre sono partito, con un intero armamentario da boscaiolo: motoseghe, olio, carburante, zappini, asce, mazze, cunei, pantaloni antitaglio, scarponi, elmetto con paraorecchi e visiera, e soprattutto una paura di fondo che da giorni mi agitava il cuore.

Era giunto il momento di andare perché ormai da tempo l’idea mi ossessionava, al punto da occuparmi gli incubi notturni. E poi perché quella paura andava affrontata, gli incubi dissolti. E poi perché la luna era quella giusta. E poi perché in montagna ancora non era scesa la neve.

Era ora!

Ho percorso in macchina la strada che mi portava a San Giovanni con un’intensa inquietudine, mille pensieri alimentati da tutte le cose viste in rete sull’abbattimento di grandi alberi, sulla tecnica giusta, sui casi di incidente nel bosco, dalle raccomandazioni di mia moglie, in apprensione per la mia incolumità e per il fatto che sarei stato da solo.

Finalmente arrivato nel bosco, mi sono preparato con calma, lentamente, per ritardare ulteriormente il tempo dell’azione, come un bimbo che vuole posticipare il momento dell’iniezione, come un condannato che vuole ritardare l’ora del patibolo.

La giornata era splendida, a dispetto della foschia ancora presente a casa, nel fondovalle, al momento della partenza, un bel sole caldo splendeva in quota, rendendo raggiante il paesaggio del Grappa.IMG_4718

Quale grande forza il Sole, nel darci energia, nell’allontanare la depressione, nell’infonderci coraggio, nel distendere il mio animo in subbuglio.

Pronto!

Scelto il primo albero da sacrificare ho iniziato ad esaminarlo, ho alzato gli occhi al cielo per giudicarne l’altezza, boh, forse 25 metri, forse di più. Con un certo senso di colpa, ho sgomberato intorno per assicurarmi un’agevole via di fuga, ho ripassato con la mente le fasi di abbattimento come imparate su internet, ho deciso la direzione di caduta, indossato guanti ed elmetto, e cominciato le operazioni.

Prima il taglio della tacca di direzione ricavandone un grosso cuneo di legno umido e profumato, con il silenzio invernale del bosco violentato e infranto dal rombo della motosega.

Poi l’asportazione dei contrafforti radicali alla base del tronco, che avevano assicurato la stabilità a quella grande creatura durante chissà quante tempeste.

Ora la parte più difficile, il taglio di abbattimento. “Devo lasciare una cerniera sufficiente” mi ripetevo in testa, “devo tenere cunei e mazza a portata di mano”. Penso quasi certamente che stessi tremando.

Ho affondato la lama della motosega per tutta la sua lunghezza nella carne dell’Abete cercando di non danneggiare la sezione di legno che chiamano cerniera e che deve accompagnare l’albero durante la sua caduta. Ho ruotato la macchina all’indietro tagliando in orizzontale e appena possibile, o meglio appena mi è sembrato opportuno, ma sicuramente troppo presto, per paura che l’albero si inclinasse all’indietro, imprigionando la motosega, ho ritratto la lama per inserire il primo cuneo che ho picchiato con la mazza e tutta la mia forza dentro la fessura di taglio per tenerla bene aperta. Quindi ho reinserito la barra per finire il taglio. A quel punto ho inserito in tutta fretta e con il cuore in gola un secondo cuneo, quello più bello, in alluminio, e ancora non sapendo se avessi fatto tutto giusto, ho cominciato a colpirlo con la mazza conficcandolo in profondità nel taglio alla base.

Ecco che il gigante, ahimè, colpito a morte, ha iniziato ad inclinarsi, con mia grande gioia, dalla parte giusta, e con uno scricchiolio sinistro del tutto simile a un ultimo lamento si è avviato verso terra, mentre io mi allontanavo a distanza di sicurezza e spegnevo la motosega.

Come si dice, mille alberi che crescono non fanno il fragore di un albero che cade. Ed in effetti, un grande albero che cade genera un rumore impressionante, e lascia nell’aria polvere e frammenti che svolazzano nel riflesso del sole fra i rami, e piano si depositano a terra.

In preda all’adrenalina del momento, un’euforia gioiosa mi ha pervaso profondamente, per l’operazione riuscita, per la dimostrazione di forza, per la vittoria conseguita, per la paura sconfitta.

Immediatamente però tutto è svanito, lasciando il posto a un’intensa tristezza nel vedere quel gigante disteso a terra. A un profondo senso di colpa, amplificato dopo aver contato gli anelli alla base del ceppo che hanno rivelato la sua età di circa cento anni, e dopo aver misurato la lunghezza del fusto con più di trentacinque passi.IMG_4713IMG_4711

Avevo stabilito, io, la fine vita di un grande essere vivente praticamente nato durante o subito dopo la Grande Guerra, che pure su questi colli, cento anni prima, insensatamente chiese il tributo di molte altre vite.

Un grande essere che avrebbe probabilmente potuto vivere ancora altrettanto e forse più. Con questa confusione di pensieri, stemperati comunque dalla “macha” soddisfazione della riuscita nell’impresa, perché in quel momento, per un dilettante boscaiolo come me, il senso di “impresa” è proprio quello che si avverte, ho chiamato a casa per rassicurare sulla mia salute.

Per fortuna, la bellezza dell’albero caduto, il profumo di resina del ceppo e del tronco, il tatto dell’umida segatura rimasta a terra, sono riusciti a rinfrancare il mio spirito e riportare i miei pensieri a un rassicurante ottimismo, in particolare, notando dall’esame dell’abete che la caduta aveva causato la rottura della sua punta, mi balenò improvvisa, l’idea del meraviglioso albero di Natale che quella punta sarebbe diventata.

Così in quella mattinata, altri tre abeti, destinati a diventare parte della nostra futura casa, sono caduti tristemente, e io sono rientrato con due alberi di Natale che riempivano l’abitacolo dell’auto, inondandolo con il profumo dei loro aghi, che richiamò alla mia mente, come solo i profumi sanno fare, lontani Natali da bambino, uno schietto senso di allegria e di serenità.